Piccoli caffè per genitori che diventano grandi (lontano da te)
A casa mia si fa il caffè.
Nel senso letterale che per la maggior parte del tempo nella casa dove sono cresciuta si prepara il caffè, una caffettiera dopo l’altra. Minimo 10-12 al giorno, ma tranquillamente fino e oltre le 20 a seconda di quanta gente circola per casa.
Quando l’anglo-arabo è venuto per la prima volta, come tutti i “forestieri” che sono passati di là, non capiva: ma perché non vi comprate una caffettiera più grande?
Il punto è questo. La macchinetta è da due, sempre. E non è consentito fare uscire tutto il caffè, anzi è necessario fermarne la fuoriuscita quasi a metà, ottenendo una quantità che in realtà corrisponde sì e no a una tazzina e mezzo, che però può essere condivisa da 3-4 persone. Perché il caffè DEVE essere piccolo. (Tanto poi se ne fa un altro).
Questa pratica è stata masterizzata, facendo vittime: coloro che non hanno mai raggiunto l’eccellenza sono stati via via esclusi dall’azione “fammi ‘no cafè”. A mia sorella ad esempio è assolutamente vietato fare il caffè (tant’è che pure a casa sua a Treviso si è comprata la macchinetta automatica giustamente). Io posso fare quelli tra un pasto e l’altro, ma quelli dei pasti principali: colazione-pranzo-cena, sono strettamente riservati ai miei genitori, master in caffè ristrettissimo.
Il caffè è una coccola, un’attenzione, è il prendersi cura (“stai un poco ‘nguaiat, mo’ ti faccio ’no café a mamma/a papà”): deve essere poco, se è troppo diventa grave e preoccupante segno di sciatteria e disattenzione.
La settimana scorsa sono stata in Italia solo per portare le mie figlie a passare un po’ di tempo coi nonni.
“Fare la nonna a distanza è molto difficile” dice mia mamma ogni volta che la sgamo nel suo contrabbando di cioccolata e caramelle con le miei figlie.
Fare la figlia a distanza, però, neanche è una passeggiata. Ogni volta che si sale sull’aereo ci si aspetta di atterrare a 20 anni fa. Ogni volta che si scende dall’aereo il tempo è invece passato nella direzione opposta e ci si ritrova ad avere a che fare con due persone che stanno invecchiando senza di te. Che per riempire i vuoti che anche tu hai lasciato si sono costruite le loro piccole routine esclusive e a tratti autistiche, in cui tu ti senti di troppo. (E che per chiamarti ripercorrono l’intero ramo femminile dei rispettivi alberi genealogici: “Marì, Giovà, Rosà, Donatè, Barbara, Simò, Giordà, Antonè…aeh Daria…”).
Dall’altra parte di questo bozzolo di solitudini ci sono due nonni che l’ultima volta riuscivano a mettere a dormire le loro piccole nipotine cantando We are the world e che adesso se le ritrovano in fase preadolescenziale a cantare “This is me” mentre i suddetti nonni si addormono collassati sul divano.
Ci restano male, mettono il muso. I bambini diventano loro. In realtà realizzano tutta la vita che si sono persi tra una visita e l’altra.
Tu ci resti male, ti incazzi e di accollarti altri due bambini non ne hai un cazzo voglia. In realtà la rabbia serve a camuffare la tristezza di non sapere più stare insieme come prima, il disagio delle parti invertite, la paura di lasciarli a invecchiare lontano da te. Il terrore che loro perdano colpi e che tu perda loro.
Per fortuna anche stavolta a casa mia si è fatto il caffè. Per fortuna quando, nei momenti critici di questa nuova convivenza a tempo, mia sorella si è alzata con l’intenzione di mettere mano alla caffettiera, mio padre è scattato in piedi dal divano ed è corso a fare il caffè prima che a sigillare le mie preoccupazioni arrivasse anche il caffè di merda di mia sorella.
La caffettiera è sempre da due, il caffè è ancora impeccabile. C’è ancora maestria, c’è ancora cura. Nessuna sciatteria. Per preoccuparsi c’è ancora tempo.
Small coffee for parents that are getting old (away from you)
In my house we make coffee.
In the literal sense that most of the time in the house where I grew up we make a coffee, one cafetiere after another. Minimum 10-12 times a day, but surely up to and over 20 times, depending on how many people travel around the house.
When the Anglo-Arab came for the first time, like all the "foreigners" who passed by, he didn't understand: but why don't you buy a bigger cafetiere?
The point is this. The cafetiere is for two cups, always. And it is not allowed to let all the coffee come out, rather it is necessary to stop the spill almost half way through, obtaining a quantity that in reality corresponds maybe to a cup and a half, which however can be shared amongst 3-4 people. Because the coffee MUST be little. (So then we make another one).
This practice has been mastered, making victims: those who have never achieved excellence have been gradually excluded from the "make me a coffee" action. My sister, for example, is absolutely forbidden to make coffee (so much so that even in her house in Treviso she rightly bought the automatic machine). I can do those between one meal and another, but those of the main meals: breakfast-lunch-dinner, are strictly reserved for my parents, master in very restricted coffee.
Coffee is a cuddle, an attention, coffee is caring ("you look a little miserable, let me make you a coffe son / daughter"): it must be short, if it is too much it becomes a serious and worrying sign of sloppiness and carelessness.
Last week I was in Italy just to take my daughters to spend some time with their grandparents.
"Being a grandmother from a distance is very difficult," my mom says every time I catch her smuggling chocolate and sweets to my daughters.
Being a daughter from a distance, however, isn’t easy either. Every time you get on the plane you expect to land 20 years ago. Every time you get off the plane, time has traveled fast but in the opposite direction and you find yourself dealing with two people who are aging without you. Two people that to fill in the gaps - that you contribute to leave - have built their small exclusive and sometimes autistic routines, in which you feel unwelcomed. (And that when they have to call you, retrace the entire female branch of their respective family trees: "Marì, Giovà, Rosà, Donatè, Barbara, Simò, Giordà, Antonè ... aeh Daria ...".
On the other side of this cocoon of solitudes there are two grandparents who, during our last visit still managed to put their little granddaughters to sleep by singing We are the world, but this time find them in their preadolescent phase singing "This is me" while the aforementioned grandparents fell asleep on the sofa.
They get upset, they start pouting feeling hurt. They turn into little kids too. The truth is they realise all the life they have missed between one visit and another.
You get upset too, you are actually pissed off and there’s no way you can deal with two more kids besides your children. The truth is, anger serves to camouflage the sadness of not knowing how to stay together as before, the discomfort of the reversed roles, the fear of leaving them to grow old away from you. The terror that they lose it and that you lose them.
Luckily even this time, we made in my house. Luckily when, at the critical moments of this new short-term cohabitation, my sister got up with the intention of putting her hand to the cafetiere, my father jumped up from the sofa and ran to make coffee before my sister’s shitty coffe would arrive to seal my concerns.
The cafetiere is always for two cups, the coffee is still impeccable. There is still mastery, there is still care. No sloppiness. There is still time to start worrying.